Il video che segue, documenta l’andamento della “giornata” dedicata alla seconda udienza del processo scaturito in seguito all’uccisione del cane Angelo, morto a causa delle sevizie subite dagli imputati, quattro ragazzi di Sangineto che – condividendo le immagini del delitto sui social network – hanno suscitato reazioni di sdegno in ogni dove.
Il clamore mediatico sollevatosi in seguito alla diffusione delle immagini, rimbalzate ovunque sul web e giunte ad attrarre l’attenzione dei media nazionali, s’è concretizzato in un’indignazione collettiva, rappresentata indistintamente in tutte le frange della popolazione, catalizzatasi nelle prese di posizione ufficiali di tutte le organizzazioni dedite alla salvaguardia degli animali.
In particolar modo – mettendo da parte le manifestazioni plateali di dissenso rispetto al “trattamento” giudiziario che è stato riservato agli imputati già prima del processo – gli attivisti che hanno seguito la vicenda sin dal primo istante, chiedono a gran voce l’adattamento della legislazione italiana, pretendendo l’aggiornamento “comunitario” che, sui reati come quello in questione, è più efficiente riguardo i diritti degli animali, considerati esseri senzienti sui quali l’uomo non ha alcuna superiorità esistenziale.
Non sono degli oggetti.
Per questa ragione il processo, che dopodomani dovrebbe concludersi almeno nella sua fase paolana, è divenuta l’occasione per eccepire “L’Urlo di Angelo”, una richiesta di umanità che si spera possa diventare il punto di partenza per l’estensione universale del Diritto alla Vita.
Contraltare di questa visione, i quattro “aguzzini” di Angelo, ragazzi poco più che ventenni che sul versante tragico di questo scenario, sono quelli che hanno fatto scorrere il sangue che ha dato avvio alla rivoluzione.
A causa loro è stata organizzata “l’occupazione” di Sangineto, un atto che – per quanto intenzionalmente “simbolico” – è stato recepito come una dichiarazione di guerra all’intera comunità (allargata ai confini regionali della Calabria).
Da tutta Italia, ma anche dall’estero, un migliaio di persone si è riversato in strada, scandendo slogan in memoria di Angelo ma, soprattutto, puntando il dito contro i suoi carnefici.
Minacciati, isolati, licenziati, vilipesi, circondati, maltrattati alla stregua degli “untori” medievali, i quattro imputati sono divenuti a loro volta il simbolo del male da estirpare, da punire.
Contro una logica penitenziaria della sentenza s’è espresso l’avvocato difensore di due di loro (presenti in aula e autori di dichiarazioni spontanee rivolte al proprio pentimento), avvocato che ha auspicato un trattamento riformatorio che consenta, a questi giovani “colpevoli”, di comprendere il crimine perpetrato e di maturare una coscienza migliore.
«Non considerateli mostri», ha detto ai nostri microfoni nel video report che, facendo seguito al “teaser” dell’altro giorno, contiene la viva voce e gli umori della giornata.
Assassini